Concordo pienamente con quanto scritto nel seguente articolo e ricordo il sapore delle “paste” (i pasticcini Siciliani) che mio padre mi comprava nei giorni di festa nella Pasticceria di Avola (sua Città natale). Io, avrò avuto sei o sette anni, ricordo quell'enorme bancone pieno di "Paste" (erano gli anni '70). Si, ricordo Torte e Cannoli. Ma la mia memoria olfattiva e visiva va a quei dolci al Pan di Spagna farciti con: cioccolato, ricotta, crema. Una goduria per il palato di un bambino. E poi ricordo l'odore del mio cestino di vimini con il quale andavo all'asilo. C'era tutto il necessario per sopravvivere alla giornata: borraccetta con l'acqua, bottiglietta di succo di frutta, matite, e poi il panino all'olio con detro la provoletta oppure "il formaggino". Quel cestino, anche quando era vuoto, aveva un delizioso odore inconfondibile, odore di buono. E la merenda per andare a scuola alle elementari? Il panino a forma di chiocciola con all'interno il salame e la provoletta. E poi il dolce, semplice e veloce, che mi preparava mia Mamma per merenda (a volte), semplici fette di Pan di Spagna bagnate di Vermouth e ricoperte di crema gialla o di crema di cioccolato. Tutto questo, quando ancora gli odori dei prodotti erano genuini, netti, inconfondibili. Questi sapori fanno parte della mia memoria. Adesso si parla tanto di “Tour Esperienziali”, quale esperienza è più interessante di un Tour alla scoperta dei sapori della tradizione? La Sicilia ed il Siciliano continuano a custoidire la memoria del passato attraverso la custodia di alcune ricette classiche, tramandate da padre in figlio. Perchè per noi il cibo è cultura, memoria, amore.
A proposito di cibo... Parliamo di Arancini e Arancine......
Ognuno comincia il suo discorso col sapore da bambino. "Sapore, non gusto. Il secondo, infatti, appartiene all’attimo fuggente. Il primo appartiene alla memoria, al ricordo,
all’amore: dunque all’immortalità. Da bambino, ognuno inizia la sua relazione speciale con un sapore. Quello. E fu subito l’arancina al burro. Quando ancora Palermo era una
città, c’era una bar, in una piazza con molti alberi, famoso per quei pezzi che gli infedeli chiamano arancini. La domenica facevo colazione con cinque arancine al burro. Nonna
Caterina si muoveva all'alba, dalla sua casa con i gerani su un balcone appena accarezzato dal sole. Andava a comprarle, le impacchettava, quindi, una volta tornata, le dis-impacchettava con le
mosse sacre di un rito antico e misterioso. Avevo otto anni, ma già comprendevo il valore religioso dell’evento. Era un comandamento dell’abbondanza.Nonna Tina (era il suo vezzeggiativo) aveva
sofferto la fame durante la guerra. Sarà stato per questo che bastava aprire il suo frigorifero per venire sommersi dal vettovagliamento di un esercito pronto a sostenere un lungo assedio, tra
chili di insaccati e quintali di formaggi che si catapultavano sul fortunato scassinatore. Le arancine di quel bar della piazza con molti alberi erano assimilabili alla musica di Mozart. Gli
ingredienti si equilibravano nell’esecuzione delle papille che li accoglievano. Il riso, mai bollito, né crudo. Il prosciutto cotto tagliato a dadini col rigore di una sezione di archi. La
cucitura del formaggio e del burro che effondeva la sua percussione tra i chicchi.(nota intermedia per gli specialisti: leggo ogni tanto di dispute talebane
sull’arancina. Se essa debba conformarsi alla consuetudine di chi la preferisce alla carne, oppure veleggiare verso gli spiriti liberi che la intendono solo al burro. E dalla premessa si sarà già
capito con chi sto. L’arancina è al burro. Possiamo tollerare gli appassionati del surrogato alla carne ed evitare di rinchiuderli in una patria galera, perché noi burristi siamo
moderati, democratici e affettuosi, purché i carnisti non abusino della nostra pazienza).
Ognuno comincia da bambino il suo cammino verso la felicità. Io ho imparato che la tenerezza, compagna della gioia, coincide con la memoria, dunque col sapore. Potete provare, se
non ci credete. Assaggiate il cibo che amavate e che non avete mai smesso di amare. Fatelo con gli occhi socchiusi; vedrete tutti quanti di nuovo accanto a voi. A me capita sempre così; anche se
non ci sono più le arancine di una volta mi faccio bastare i sogni che ho. Impacchetto, porto a casa, svolgo la confezione, annuso, addento. E i miei occhi – senza che abbia espresso nemmeno un
desiderio al genio della lampada – salgono sulla macchina del tempo. Rivedo Nonna Tina sul balcone, tra i suoi gerani, con un po' di sole. La ritrovo proprio lì, come se il tempo non fosse mai
passato. Come se lei potesse aspettarmi ancora".